Il calcio giovanile italiano attraversa una fase critica, e non per mancanza di talento o di passione tra i ragazzi, ma per un sistema che troppo spesso li soffoca prima ancora che possano esprimersi sul campo. Come ha denunciato Gianni Rivera recentemente, campionissimo del Milan e della Nazionale, sono sempre di più le famiglie che raccontano come i loro figli, iscritti da anni a società sportive, “non abbiano mai avuto la possibilità di partecipare a una partita”, intrappolati in logiche che privilegiano gli interessi economici rispetto al talento e alla crescita personale.
Rivera sottolinea come procuratori e dirigenti bussino alle porte dei genitori chiedendo denaro per bambini che non hanno mai esordito in una squadra vera, e chi non paga resta escluso: “non viene convocato, non viene notato, e lentamente perde la motivazione”. In questo contesto, il talento non si coltiva, si soffoca; ciò che dovrebbe essere un percorso di apprendimento, socializzazione e crescita personale diventa un’asta in cui merito e passione sono secondari rispetto alla disponibilità economica della famiglia. Il risultato è che i giovani si spengono prima ancora di respirare il profumo dell’erba di un campo di calcio, mentre l’ingiustizia cresce, silenziosa ma costante.
Se per tutti non è proprio così, è pur vero che oggi molte ASD e scuole calcio sembrano concentrate più sulla gestione delle rette mensili che sul percorso educativo dei ragazzi. Il calcio giovanile rischia di trasformarsi in un’attività esclusivamente prestazionale, dove il valore del bambino o dell’adolescente viene misurato in base alla capacità di produrre risultati immediati e non alla crescita personale, all’inclusione e alla condivisione. Questo fenomeno mina le basi dello sport come strumento di educazione, integrazione e socializzazione, e lascia indietro chi non può permettersi di investire cifre sempre più elevate per garantire al proprio figlio la possibilità di giocare.
Il Coordinatore del Settore Calcio di UISP Cagliari APS, Pietro Casu, afferma: “Credo fermamente che il calcio giovanile debba tornare a essere uno strumento educativo. Deve formare, includere, educare, insegnare il rispetto, la collaborazione e la resilienza. Il nostro impegno come UISP è garantire che ogni ragazzo possa vivere il calcio come esperienza di crescita personale, sociale ed educativa, riconoscendo e valorizzando il talento, proteggendolo, e permettendo a ciascuno di giocare, imparare e sognare senza barriere economiche. Questo vale per il calcio ma anche per qualsiasi altra disciplina sportiva.”
E aggiunge una riflessione pratica sul metodo: “Quale senso ha in una gara dove l’attaccante più talentuoso ha già segnato una doppietta o una tripletta, e la squadra ha già raggiunto il risultato della vittoria, continuare a far tirare un calcio di rigore sempre allo stesso giocatore? Non sarebbe più utile farlo tirare a un compagno meno talentuoso, per dargli fiducia, autostima, o per premiare il suo impegno durante la settimana?”
Si interroga anche su altre pratiche diffuse: “Perché continuare a privilegiare giocatori abili che spesso non passano la palla ai compagni, trasformando una disciplina collettiva in una gara individuale per il gusto di segnare? Quale logica c’è nel portare in panchina 20 ragazzi sapendo che forse solo due entreranno in campo, o nel far giocare appena 13 su 18, escludendo cinque giovani solo perché il risultato potrebbe essere messo in discussione? Quale senso ha avere 25-30 ragazzi in rosa se poi solo la metà potrebbe essere convocata per la partita? Perché frustrare, togliere dignità, togliere motivazione, dedizione e passione a ragazzi che probabilmente non arriveranno al professionismo ma vogliono solo confrontarsi con coetanei in modo equo?”
Far giocare sempre gli stessi, anche quando saltano allenamenti, o concedere solo due minuti a chi entra in campo, non educa, non forma, non valorizza. Far fare l’Assistente di Parte (il guardalinee) a questi giovani durante le partite, senza mai dare loro la possibilità di giocare o far giocare solo una frazione di tempo irrisoria, è un metodo educativamente scorretto. Come ricorda il coordinatore, “dobbiamo interrogarci su questo sistema: il politico nel tempo ha tolto ai ragazzi la possibilità di giocare liberamente nelle strade e nelle piazze per motivi di sicurezza, nei campi poi le ASD continuano a limitare a questi ragazzi l’opportunità di giocare sui campi veri, premiando solo chi ha talento, senza considerare crescita, educazione e inclusione.”
Il calcio giovanile così come lo concepiamo alla UISP è inclusivo, educativo e sociale. Non interessa solo il risultato o la prestazione: interessa il ragazzo nella sua totalità. Ogni allenamento, ogni partita, ogni momento in campo è occasione di crescita e di apprendimento, dove il talento non si compra, ma si coltiva, si protegge e si valorizza. Solo recuperando questi valori, come già denunciato da Gianni Rivera, il calcio può tornare a essere davvero uno sport per tutti, uno strumento di educazione e integrazione, lontano dai meccanismi cinici del business e vicino ai sogni dei ragazzi.
[di Pietro Casu, Responsabile Comunicazione e Stampa di UISP Cagliari APS. Fonte news di Tuttocampo e Calciomercatonews.com]
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